Ancora prima del corteo avevamo notato al nostro interno come sia il percorso stabilito sia le parole d’ordine lanciate da alcune realtà e aree organizzate mancassero di prospettive concrete di conflitto verso questo sistema classista che ci sta schiacciando sotto il peso della sua crisi.
Tra lettere a Napolitano e interessi di partito si notava già come ci fosse chi aveva intenzione di utilizzare questa giornata per rendere più forti le proprie ambizioni opportunistiche lontane dagli interessi di lavoratori, studenti, pensionati e disoccupati. Questi individui sono gli stessi che adesso si apprestano a prendere le distanze dai compagni che hanno fatto gli scontri con le forze di polizia in piazza S.Giovanni, al punto che alcuni di questi “democratici” stanno addirittura denunciando i compagni alla questura attraverso foto e video. Un lavoro da sbirro, da vero infiltrato, altro che infiltrati black bloc…
Le posizioni di questi pacifisti comodi al potere vanno di pari passo con le prime dichiarazioni arrivate ieri da alcuni parlamentari e ministri italiani, tra le quali emerge la proposta della bella coppia Di Pietro-Maroni per i quali il rimedio è il ritorno alla legge Reale del 1975.
Questa legge di stampo fascista concederebbe poteri speciali alle forze di Polizia e permetterebbe alla classe politica attuale di continuare a difendere gli interessi delle classi dominanti. In sostanza un giro di vite necessario per mantenere sotto il giogo dei potenti le classi subalterne che subiranno ulteriori privazioni di diritti, impoverimento e privazione della dignità.
Tornando alla proposta dell’ex questurino Di Pietro proponiamo di seguito alcuni dati e considerazioni dal libro “Il nemico interno” di Cesare Bermani. Giusto per chiarire cosa ha rappresentato questa legge nella storia di questo paese…
Riguardo alla legge Reale, si hanno i dati di un’inchiesta condotta su fonti giornalistiche (quindi certo al di sotto della realtà, perchè molti casi non giungono alla cronaca) dal centro d’iniziativa Luca Rossi di Milano che si riferiscono al periodo che va dal 28 maggio 1975, momento dell’entrata in vigore della legge, al 30 giugno 1989 e riguardano esclusivamente i casi che rientrano nella tipologia di uso illegittimo delle armi da parte delle forze dell’ordine. In quel lasso di tempo si sono avuti 254 morti e 351 feriti, in larga misura causati da carabinieri (123 morti, 155 feriti) e polizia (103 morti, 167 feriti). Seguono i vigili (6 morti, 22 feriti), guardie private, metronotte e vigilantes (13 morti, 12 feriti), i finanzieri (2 morti, 5 feriti) e gli agenti di custodia (3 morti, 2 feriti) e altri non catalogati (3 morti, 6 feriti). (…)Dal giugno 1989 in poi ho raccolto senza sistematicità segnalazioni giornalistiche di “morti da legge Reale”, che dimostrano il persistere della tendenza a uccidere per nulla o per cose di poco conto.
Queste cifre parlano chiaro circa la natura di questa legge e ci consegnano segnali sul futuro che ci attende, quello di uno Stato sempre più autoritario nella gestione dell’ordine pubblico, uno Stato che attraverso il famoso governo tecnico o a larghe intese renderà ancora più evidente la propria reale identità, quella di forza garante per la dittatura del capitale.
Per quanto riguarda la giornata di Roma crediamo che la rabbia espressa da numerosi compagni che hanno resistito in piazza S.Giovanni non possa essere criminalizzata ma vada considerata come una legittima reazione alla situazione che attualmente vive una larga parte della popolazione. Di sicuro questa rabbia ha avuto forti connotati di spontaneismo ed è stata comunque priva di un organizzazione unitaria e per questo ha generato anche episodi evidentemente inutili e in parte controproducenti. Ma questa è la realtà attuale di un movimento frazionato e diviso in cui non esiste un organizzazione di partito che si possa dire realmente rivoluzionaria.
In ogni caso il messaggio che ci sentiamo di cogliere da questa giornata è che in questo momento bisogna essere in grado di portare contenuti politici alla rabbia di classe mostrata in piazza. Se non saremo in grado unitariamente di trovare uno sbocco politico di classe a questi episodi questi rimarranno semplici riot fini a se stessi.
In questo senso nel nostro piccolo riteniamo fondamentale lavorare per la ricomposizione di classe prima di tutto nei luoghi dove l’oppressione si sviluppa maggiormante, nei luoghi di lavoro, cercando di indirizzare la rabbia che crescerà verso i veri nemici delle classi sfruttate, lo Stato e la borghesia.
In conclusione esprimiamo assoluta vicinanza e solidarietà ai compagni/e che hanno subito perquisizioni e a coloro che si trovano in carcere per mano della repressione di stato.