E’ ormai evidente agli occhi di tutti che ci troviamo nel mezzo della più pesante crisi economica della storia del capitalismo. Con ogni probabilità ci stiamo avvicinando al secondo atto del crack finanziario del 2008, che gli stati avevano tamponato “salvando le banche” e indebitandosi all’inverosimile per coprire i buchi lasciati dai famosi mutui subprime. Questa volta però questo tampone non sarà più utilizzabile per l’evidente mancanza di liquidità da immettere nel sistema e molteplici sono gli scenari che si possono aprire all’orizzonte.
In questo momento ci troviamo come lavoratori e lavoratrici a pagare caro il prezzo della crisi a causa delle manovre finanziarie inique che ci stanno imponendo i governi nazionali mossi dalla BCE, proprio per questo sarà fondamentale nel futuro prossimo che le lotte sociali si intensifichino e che unitariamente sappiano opporsi ai governi dei padroni ponendo l’obbiettivo del superamento di questo sistema di sfruttamento classista della borghesia sul proletariato.
Pubblichiamo qui un’interessante analisi economica di Aldo Giannuli, docente di storia contemporanea all’università Statale di Milano, sulla situazione attuale e i possibili sviluppi della crisi.
I possibili sviluppi della crisi
La tempesta in borsa non si è ancora placata e fa ballare banche, monete, società per azioni, fondi speculativi e Stati.
Il punto è questo: la seconda recessione appare sempre più probabile e vicina e il troppo denaro in cerca di remunerazione moltiplica la tempesta. Come è noto, il liquido scorre lungo i pendii dove incontra minore resistenza ma quando è troppo e scorre fra canali troppo stretti, agitato da venti di tempesta e maree improvvise, il liquido dà luogo a tempeste rovinose. E la “liquidità” del denaro non fa eccezione.
Dunque, è lecito chiedersi “dove stiamo andando a sbattere” con le nostre fragili scialuppe, così come siamo in balia del fortunale.
Dunque, dicevamo, difficilmente eviteremo una recessione simile a quella del 2008, ma questa volta il problema è che “siamo a corto di munizioni”: tre anni fa, la tempesta fu (o meglio sembrò) superata grazie all’immissione di liquidità da parte delle banche centrali (sia Fed che Bce che Banca popolare di Cina e Banca d’Inghilterra) che assorbirono i debiti delle banche rianimandole. Ma questo si è tradotto, per gli occidentali in una esplosione del debito pubblico e per i cinesi nell’inizio di una ondata inflattiva molto destabilizzante. E così la soluzione è diventata il problema: le banche, oggi, subiscono gli effetti del panico del mercato per quello che hanno nella “pancia”, ma, se nel 2008 a far paura erano i derivati dei mutui in sofferenza, oggi i titoli in sofferenza sono quelli degli Stati che le salvarono nel 2008. Per cui, ripetere l’operazione oggi sarebbe inutile e dannoso.
Quindi, siamo allo scoperto: il costo del denaro, in particolare negli Usa è basso che di più non si può, l’emissione di altri titoli di debito pubblico servirebbe solo ad aumentare i dubbi sulla solvibilità di quelli già esistenti (e il timore sarebbe tutt’altro che infondato). Per di più, aiuti “esterni” all’area euro americana non se ne profilano: il Giappone ha il problema della ricostruzione di Fukushima e della sostituzione delle centrali nucleari, i fondi sovrani arabi sono nelle peste per le rivolte da fronteggiare, i cinesi hanno il problema di riassorbire l’inflazione per cui non hanno alcuna intenzione di produrre nuova liquidità e, d’altra parte, rinnovano di mala voglia i titoli americani in scadenza senza acquistarne altri.
E i problemi maggiori possono venire da altri paesi emergenti come il Brasile e, per ragioni diverse, la Russia, entrambi paesi che basano la loro economia soprattutto sull’esportazione di materie prime. In caso di recessione, i paesi di questo tipo sono quelli più duramente colpiti. Infatti, la recessione fa crollare la domanda di materie prime e, con essa, anche il loro prezzo.
Per la Russia il problema più che di ordine economico sarebbe di ordine politico anche per l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali che vedono contrapposti Putin e Medvedev. Sin qui il consenso al regime è stato assicurato da una ripresa economica largamente finanziata dalle esportazioni di gas, petrolio ed oro. L’oro continuerebbe a tirare bene, ma realisticamente non compenserebbe la contrazione degli utili per le materie energetiche, per le quali sono stati fatti considerevoli stanziamenti per i due grandi gasdotti in joint venture con italiani e tedeschi. Peraltro, questi gasdotti non rispondono solo ad esigenze di natura economica, ma assolvono anche ad una funzione politica di isolamento dell’Ucraina e di rilancio dell’influenza della Russia sulla regione. Se, adesso, si decurtassero gli introiti questo potrebbe avere ripercussioni non secondarie di natura politica.
Inoltre, la Russia è fra i primi 10 possessori di titoli di Stato americani ed ha ragione di temere ripercussioni per un declassamento del loro rating.
Economicamente più immediate e rilevanti sarebbero le ripercussioni sul Brasile che, negli ultimi due anni ha avuto performances straordinarie, grazie alle esportazioni di materie prime. Inoltre si sono aggiunte la scoperta di nuovi importantissimi giacimenti di petrolio e di oro e la prospettiva di diventare la prima agricoltura del mondo in dieci anni, che hanno ulteriormente allettato gli investitori americani ed europei: i titoli brasiliani (in particolare delle società estrattive) sono andati a gonfie vele, promettendo pingui utili. Ma la recessione farebbe calare i prezzi delle esportazioni e, con essi, il rendimento dei titoli: dunque, è abbastanza probabile una “fuga” da essi in un vicino futuro, con la sola eccezione di quelli direttamente o indirettamente collegati all’oro che, in questo momento, sta conoscendo una nuova impennata.
E questo ci porta ad un altro nodo: l’oro, il cui prezzo ha superato i 1.900 dollari l’oncia. Stando alle “regole” del passato, avendo superato il prezzo del platino, dovrebbe in breve tornare a livelli considerevolmente più bassi, ma quanto valgono ancora queste regole in una crisi di questo genere? Per cui l’oro, paradossalmente, diventa un elemento di incertezza in più: potrebbe scendere, ma gli investitori in cerca di “sicurezze” potrebbero insistere oltremodo in questa direzione, non avendone di migliori. E la crescita potrebbe continuare ancora per un tempo imprevedibile. Il punto è che, prima o poi, anche il prezzo dell’oro è destinato a crollare e maggiore è la quotazione raggiunta, più pesante si prospetta la caduta.
E’ possibile che la tempesta in corso possa placarsi nelle prossime settimane o, almeno, trovare un “punto di caduta” prima di trasformarsi in una recessione di dimensioni senza precedenti e, quindi, in una prolungata depressione. Ma, anche domando le attuali turbolenze, si tratterà di una breve tregua: l’anno prossimo arrivano a scadenza obbligazioni ancora più pesanti di quelle di questo anno. In particolare c’è una spaventosa concentrazione di obbligazioni private ad alto rischio (tanto per cambiare, quasi tutte americane) pari ad otto volte la media annuale. Considerata la fuga in corso dagli azionari e, soprattutto, dai titoli a più alto rischio, tutto fa pensare che la situazione si farà pesantissima fra marzo e luglio.
Peraltro, anche la massa di bond statali in scadenza sarà superiore a quella di questo anno.
Se poi si riuscisse a venirne fuori indenni anche in questa occasione, ci sono le scadenze micidiali del 2013 e 2014 (quando verranno a termine i quinquennali emessi dal Tesoro americano per far fronte alla crisi del 2008) che sono ancora più pesanti. E, nel frattempo, una eventuale recessione –con conseguente perdita di posti di lavoro- provocherebbe ulteriori insolvenze nel debito privato (mutui immobiliari, rate auto e carte di credito). Si prepara un bel triennio.
Certo la crisi finirà. Tutte le crisi prima o poi finiscono. Speriamo solo che finita la crisi non inizi la miseria.
Aldo Giannuli