Da qualche giorno stiamo assistendo al riemergere del dibattito politico e giornalistico sui CIE (centri di identificazione ed espulsione). La causa della riscoperta repentina di questo tema è stata un’iniziativa promossa dall’Ordine dei giornalisti e da alcuni partiti (PD e Rifondazione Comunista) in cui si denunciava il decreto di Maroni che vieta alla stampa e ai parlamentari di entrare nei centri.
Il paradosso è che chi ha inventato e costruito i primi CIE, denominati allora CPT ma sostanzialmente identici nella struttura, stia adesso promuovendo quest’iniziativa di sensibilizzazione sulla questione dei lager italiani.
Nonostante possa essere positivo che un maggiore numero di persone venga a conoscenza dell’esistenza dei CIE noi non ci dimentichiamo che furono proprio questi partiti ad introdurre i centri in Italia attraverso la legge Turco-Napolitano del 1998 e consideriamo questa mossa strumentale perchè utile solo per scopi elettorali e superficiale nell’analisi della questione. Non è infatti sufficiente proporre, come ha fatto recentemente la firmataria della legge Livia Turco, una riforma di questi luoghi della tortura di stato, perché l’esistenza di essi è direttamente collegata al sistema di sfruttamento di classe nel quale viviamo.
Il ricatto che grava sui migranti è l’obbligo di lavorare per ottenere un permesso di soggiorno dallo Stato, questo porta una fetta di lavoratori e lavoratrici alla perdita di diritti sui posti di lavoro dove ogni rivendicazione può essere fronteggiata dai padroni con la minaccia del licenziamento e della successiva clandestinità. Quest’arma padronale può essere sconfitta solo dalle lotte che uniscano un obbiettivo politico a quello economico, è necessario infatti un livello di coscienza che vada oltre il miglioramento della situazione odierna per mettere fine allo sfruttamento di pochi su tanti.
In questo senso è significativa la lotta dei lavoratori delle cooperative (per la maggior parte migranti) che tramite il sindacato SI COBAS si stanno autorganizzando da 3 anni coniugando le rivendicazioni sindacali ad una prospettiva generale di classe.
Spesso in queste realtà l’unità dei lavoratori ha saputo battere i ricatti padronali, in un settore, quello della logistica, dove i diritti basilari vengono azzerati da interessi economici di miliardi di euro.
L’ottica del profitto e dello sfruttamento che sta alla base delle aziende dove il coordinamento interviene la ritroviamo nello stesso modo dentro i CIE, dove si specula, sulla pelle di chi è recluso, tramite il gioco perverso degli appalti pubblici. Per ogni immigrato infatti le società gestori percepiscono dallo Stato 80 Euro al giorno, una cifra enorme rispetto a quella utilizzata effettivamente. E quindi a fianco di Croce Rossa e Chiesa Cattolica nella gestione dei Lager ritroviamo anche svariate cooperative legate direttamente ai partiti di maggioranza e minoranza tra cui anche il PD.Tutto ciò sotto il controllo carcerario della Polizia. Innumerevoli sono in queste strutture le torture inflitte sui detenuti da tutti gli organi sopra citati, Croce Rossa compresa. E’ inoltre dimostrato anche l’utilizzo massiccio di psicofarmaci sulle persone.
Le condizioni di lavoro che troviamo all’interno delle Cooperative sono simili a delle torture per la brutalità che i lavoratori devono affrontare tutti i giorni. Orari infami, caporalato, buste paga illegali, contratti nazionali calpestati, punizioni fisiche e licenziamenti per chi si ribella sono la realtà di questi luoghi dove l’arroganza padronale si spinge ai limiti della schiavitù.
E’ chiaro quindi che in un momento di crisi strutturale del sistema è necessario generalizzare queste lotte in una prospettiva di classe che superi i vincoli di etnia, religione e nazionalità.
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