Il primo dato da notare analizzando i risultati (2735 SI – 2325 NO) è il plebiscito a favore dell’accordo che arriva dai cosiddetti colletti bianchi (impiegati, quadri e dirigenti) chiamati illegittimamente a votare sulla vita altrui, quella degli operai.
Senza il voto di questi servi e lecchini (degni eredi dei non 40000 in marcia nel 1980) il risultato sarebbe infatti stato contrario e il piano Marchionne non sarebbe passato.
Altro fattore di cui tenere conto è il vile ricatto che incombeva sugli operai che andavano a votare. O voti SI o perdi il lavoro.
Troppo facile vincere così. Questi fattori delegittimano politicamente la vittoria di Marchionne e di tutti coloro che lo appoggiano riempendosi la bocca di cazzate sulla produttività dello stabilimento.
Ancora una volta i lavoratori dimostrano grande dignità resistendo a Marchionne consegnandogli una fabbrica dove non potrà realizzare il suo sogno di controllo senza rappresentanza sindacale. Ancora una volta operai e operaie ci indicano la strada che dobbiamo seguire. Tutto ciò nonostante l’isolamento in cui si sono trovati a lottare.
Sapevamo già prima della vertenza di Mirafiori chi sta coi padroni e chi con chi lavora, ma in queste settimane gli stronzi sono venuti a galla mostrandosi agli occhi di tutti. Come al solito il mondo dell’informazione schierando economisti e giornalisti comodi al sistema ha dato prova di omertà e zerbinaggio. Governo ed opposizione hanno fatto gara a chi spalleggiava di più l’amico Marchionne e i sindacati CISL, UIL, UGL e FISMIC al servizio del padrone hanno svolto il compito di dividere i lavoratori. Questo è il clima in cui si è svolto il referendum, questa è la loro democrazia…
Solo i sindacati di base e la FIOM sono stati al fianco dei lavoratori. La stessa FIOM, non possiamo fare a meno di rilevare, produce però al suo interno una contraddizione: se a Mirafiori ha saputo rispondere agli attacchi padronali per non tradire la base operaia che spingeva in quel senso, in altri territori (ad esempio il nostro, il Nord-Ovest milanese) insieme a FIM e UILM è complice della perdita di diritti per i lavoratori e dello smantellamento di tante fabbriche. Essendo parte della CGIL le manca inoltre l’ambizione di generalizzare il conflitto finendo per tenere isolate le singole vertenze.
Il quadro generale non è dei migliori, come lavoratori la nostra condizione è costantemente sotto attacco e non riusciamo a dare una risposta adeguata e unitaria. Paghiamo la mancanza di strumenti sindacali e politici che siano all’altezza dello scontro e che siano nostra diretta espressione. Il sindacalismo di base non riesce ancora a sopperire a questo vuoto.
Siamo convinti che l’unico modo per colmare questo vuoto politico e sindacale sia la costruzione dal basso di strumenti necessari alla difesa e al miglioramento delle nostre condizioni collegando le diverse vertenze presenti nei posti di lavoro e sul territorio.
Anche per questo crediamo che lo sciopero del 28 Gennaio sia un appuntamento importante a patto che non sia la solita sfilata di dirigenti e funzionari sindacali ma che lanci un’indicazione precisa di lotta a tutti i lavoratori.
interessante analisi!
Bravi!